«AUT PYTHAGORAS HERMETISET, AUT HERMES PYTHAGORISET»: NOTA SULLA TEOLOGIA MATEMATICA DI KEPLERO
Enrico Peruzzi[1]
RIASSUNTO: Viene esaminato un luogo testuale della Harmonice mundi (III i) in cui Keplero espone la dottrina di contenuto teologico e astrologico del tredicesimo dialogo del Corpus Hermeticum collegandola alla dottrina pitagorica della Tetrade, evidenziandone le affinità convergenti in una concezione della numerologia che risulta essere per Keplero lo strumento più idoneo per la speculazione teologica; a conferma di questo, viene proposta la dottrina procliana degli enti matematici presenti nella mente divina e nella costituzione del cosmo come struttura latente dell’intera realtà, manifestando la concezione di una teologia matematica concepita come strumento conoscitivo che funge da tramite fra l’armonia cosmica e la stessa natura divina attraverso gli archetipi matematici conoscibili e utilizzabili dalla mente umana.
PAROLE CHIAVE: Rinascimento. Ermetismo. Pitagorismo. Keplero. Proclo.
Nell’introdurre l’argomento del terzo libro della Harmonice mundi, dedicato all’esposizione delle relazioni e proporzioni armoniche destinate a dilatarsi fino a coinvolgere, al di là del piano percettivo, l’intera struttura cosmica, Keplero dedica un’ampia digressione, presentata come necessario prodromo all’indagine sulle armoniche corrispondenze del Tutto, alla tetractys pitagorica ed alle sue criptiche implicazioni, non solo di natura numerica ma pure di contenuto teologico. [2]
Nell’ excerptum procliano tratto dal Commento al primo libro degli Elementi di Euclide, con cui Keplero nel frontespizio del terzo libro sigilla l’aditus alle celesti ed armoniche rivelazioni in esso contenute ed esposte, lo scolarca sottolinea il ruolo propedeutico che la matematica svolge nei confronti della teologia, con un ben preciso indirizzo platonico-pitagorico, nonostante la diversa utilizzazione che ne viene fatta, l’una essoterica (Platone) e l’altra esoterica ed iniziatica (i Pitagorici).[3] Prevale in Proclo, e con lui in Keplero, la funzione esplicativa della matematica sul piano della comprensibilità dianoetica di nozioni teologiche che altrimenti resterebbero di per sé sovrarazionali e di difficile comprensione («captu difficilia et sublimiora»). Gli enti matematici, mentalmente concepibili anche con l’immaginazione («per quasdam imagines»), vengono posti in relazione a proprietà definite come superessenziali, collocate quindi ad un livello ontologico che travalica l’essenza e i limiti stessi della comprensibilità razionale. Su questa dimensione dell’essere e del conoscere si inserisce il ‘divino’ procliano, di per sé inconoscibile, in quanto al di là della categoria gnoseologica e metafisica dell’essenza. Gli enti ultimi ai quali la mente umana può giungere sono solamente quelli matematici, estremo approdo della ricerca razionale sul divino, in sé inconoscibile e ineffabile ma manifestato attraverso gli archetipi supremi delle idee-numeri, che con Proclo si inseriscono direttamente nella mente divina, nel Nous superessenziale. Quale esemplificazione dottrinale viene ricordato l’insegnamento platonico, non individuato in una precisa referenza testuale, sulla natura del divino spiegata con immagini geometriche, e l’intera dottrina teologica di Pitagora, corroborata nel testo procliano dal rinvio al Sermo sacer ed alle Baccanti di Filolao.[4]
Da questa importante sottolineatura della relazione fra matematica e teologia, limitata nel frontespizio alla semplice citazione procliana, Keplero passa ad affrontare direttamente l’argomento nelle prime pagine del medesimo libro III, nell’excursus sulle varie interpretazioni della Tetrade (Tetractys) pitagorica, nella cui conclusione si pone il riconoscimento che la teologia, ad mentem Procli, consiste proprio nello studio (ma il termine kepleriano è più preciso sul versante esoterico: contemplatio) dei numeri. Si tratta di una valenza teologica della matematica che Keplero accetta, riconosce e fa sua, inserendola anzi nella natura della mente divina e nello stesso dogma trinitario, con una dilatazione di questa teologia matematica anche all’ermetismo, di cui vengono sottolineate e discusse precise affinità con il pitagorismo, nell’accettata antecedenza storica delle dottrine ermetiche di chiara matrice ficiniana. In questo testo, più precisamente, si evidenzia un comune patrimonio di numerologia mistica incentrato sul rapporto di implicazione fra l’unità e la decade nella formulazione della Tetractys pitagorica (1-2-3-4) che Keplero ritiene di poter ritrovare nel testo XIII del Corpus Hermeticum,[5] il “Discorso segreto sulla montagna”,[6] dedicato, come indica il sottotitolo, alla palingenesi ed al precetto del silenzio.
Keplero inizia l’esposizione del contenuto del testo ermetico con una citazione diretta in versione latina estratta dal par. 12 (“Unitas secundum rationem Denarium complectitur, rursumque Denarius unitatem”)[7], evidenziando subito il rapporto diretto fra l’unità e la decade e chiarendo le affinità ermetico-pitagoriche che vengono evidenziate nel testo sul versante etico-astrologico: ai dodici segni zodiacali vengono collegati altrettanti vizi ‘etici’, definiti, con analogia al demone ‘punitore’ (timoròs) del Poimandres,[8] come ‘punitori’ o ‘vendicatori’ (ultores), propri della corporeità e dell’anima concupiscibile. Ad essa, precisamente con il simbolo della decade, si contrappone l’anima razionale con le sue dieci virtù etiche. Qui la contrapposizione palese è fra il numero dei segni zodiacali, il 12, e il 10, numero delle virtù, con un sotteso richiamo alla funzione ugualmente punitiva dei pianeti ricordata nel Poimandres (par. 25), dal cui negativo influsso l’anima umana si scioglie nell’ascesa all’Ogdoade.[9] Con un immediato passaggio al pitagorismo, Keplero sottolinea che proprio la Decade viene venerata dai pitagorici come ‘fonte delle anime’, proponendo però in questo caso una concezione che rinvia direttamente a Proclo, che nel commento al Timeo sottolinea proprio questa relazione psico-numerologica tra la decade e l’anima, costituente la prima, fondamentale Tetractys.[10] Ugualmente, l’Ogdoade, concepita come una seconda e suprema tetractys che assomma in sé anche la precedente (1-2-3-4 e 5-6-7-8), dà come somma 36 e corrisponde al cielo delle stelle fisse,[11] ma, ancor più, al punto di incontro dell’anima, liberata dai vincoli dei vizi planetari, con le anime dei beati e con la stessa sfera del divino, in cui, stando alle parole del Poimandres, l’uomo ‘diventa dio’(theothènai).[12] È lo stesso Ermete che a questo punto rinvia Tat al Poimandres, dove si espone il momento ultimo del ricongiungimento dell’anima con il divino e la definitiva estrinsecazione del suo stesso essere come parte della divinità.[13] Sono, questi, due luoghi del Corpus Hermeticum che per la trasparente numerologia costituiscono per Keplero una palese assonanza con il pitagorismo, confermata anche dal reiterato precetto del silenzio, inserito insieme alla dottrina della palingenesi nel titolo del trattato e più volte ricordato nel testo[14], e dalla menzione della Mente Suprema, il Nous, e della Verità.[15] Si tratta di una simbiosi ermetico-pitagorica che autorizza Keplero a ritenere i due maestri delle rispettive scuole, Pitagora ed Ermete, come utilizzatori del linguaggio e, più ancora, delle dottrine l’uno dell’altro. Ad ulteriore conferma del rapporto tra ermetismo e pitagorismo Keplero inserisce precisi rinvii alla componente teologica delle loro dottrine: Ermete espositore parafrastico dell’ebraismo e del cristianesimo giovanneo[16] e, sull’altro versante, il ‘pitagorico’ Proclo che considera la teologia come una numerologia mistica, con palese riferimento al commento euclideo, in particolare proprio al ricordato passo inserito nel frontespizio di questo stesso libro III dedicato alla genesi delle proporzioni armoniche, ulteriore conferma di quella teocosmia matematica che costituisce il sigillo più autentico ed essenziale della speculazione e della ricerca astronomica kepleriana.
Va precisato, onde non creare fraintendimenti all’interno della speculazione kepleriana, che tale teologia matematica non va intesa nel senso di una numerologia esoterica di carattere occultistico (sul quale versante Keplero si mostra decisamente contrario e fortemente critico),[17] bensì di una struttura e di un sistema matematico, aritmetico e geometrico, la cui razionalità, fatta di misura, proporzione ed armonia, altro non è che la stessa struttura veritativa della Mente Divina, che viene ritrovata dalla mente umana come realmente presente in se stessa e nella struttura del cosmo. Gli archetipi matematici sono ritenuti da Keplero le stesse idee di Dio, presenti nella sua mente e utilizzate nella creazione e nell’ordinamento del mondo,[18] con un rinvio alla concezione procliana delle essenze matematiche collegate alla natura divina che per Keplero vengono utilizzate da parte di Dio nell’ordinamento cosmico, come viene indicato nella nota a margine di questo stesso testo.[19] Gli enti matematici e, in particolare, le figure geometriche che la mente umana stessa, con la dote divina dell’intelletto e della ragione, è in grado di conoscere e di rappresentarsi con l’immaginazione, costituiscono l’immagine di Dio e come tali si inseriscono nella mente, che proprio per questo diviene capace di intendere, di conoscere, con una accentuata funzione creatrice (e su questo la concezione cusaniana della capacità eidolopoietica della mente va tenuta ben presente) sul modello di quella divina. Come esempio del nesso tra mente umana e divina si può tenere presente quanto Keplero espone nella prefazione di questo stesso libro terzo della Harmonice Mundi[20] riguardo alle armonie utilizzate da Dio nella strutturazione e ordinamento dei moti celesti (non va dimenticato che la definizione delle tre leggi del moto è sempre inserita in questo contesto teologico), che l’intelletto, a sua volta, è in grado di riconoscere in quanto già presenti al suo interno, nella sua propria struttura, essa stessa di natura divina. Gli enti matematici quindi costituiscono il più autentico e vero legame che unisce Dio, il cosmo e l’uomo, riproponendo in tal modo, quasi accostata a quella cristiana, la Trinità ermetica dell’Essere-Uno che si manifesta nel cosmo e nell’uomo;[21] ritorna così, proprio in questa suprema concezione dell’Essere, quel legame ermetico-pitagorico fatto di una razionalità concepita come essenza del divino e insieme dell’umano, nella quale la cosmica armonia che Keplero così mirabilmente costruisce e definisce costituisce la più alta estrinsecazione del Vero Divino, immutabile ed eterno.
ABSTRACT: In Harmonices Mundi III,1 Kepler points out an affinity between the Corpus Hermeticum XIII (The secret sermon on the mountain concerning rebirth and the promise of silence) and the Pythagorean doctrine of the Tetractys. Kepler’s aim is to demonstrate that mathematics, particularly in its numerological realm, is the true way to gain knowledge of God and of the presence of His action in the world, as confirmed by the harmonious and mathematical structure of the universe.
KEYWORDS: Renaissance. Hermetism. Pythagorism. Kepler. Proclus.
BIBLIOGRAfIA
DIOGENE LAERZIO. Vite dei filosofi. A cura di Marcello Gigante. Milano: TEA, 1991.
HERMES, Trismegistus. Corpus Hermeticum. Edizione e commento di A. D. Nock e A.-J. Festugière. Edizione dei testi ermetici copti e commento di I. Ramelli. Testo greco, latino e copto. A c. di Ilaria Ramelli. Milano: Bompiani, 2014. (= CH).
KEPLER, Johannes. Ioannis Kepleri Harmonices Mundi Libri V. In: ______. Gesammelte Werke. München: C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1934. v. 6. (= HM).
PROCLUS. Commento al I libro degli «Elementi» di Euclide. Introd., trad. e note a c. di M. Timpanaro Cardini. Pisa: Giardini, 1978.
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______. Procli Diadochi In Primum Euclidis Elementorum Librum Commentarii. Ex recognitione Godofredi Friedlein. Leipzig: Teubner, 1873.
STOBAEUS, Johannes. Ioannis Stobaei Eclogarum physicarum et ethicarum libri duo.
Recensuit Augustus Meineke. Leipzig: Teubner, 1860.
[1] Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona (Italy). enrico. peruzzi@univr.it
[2] Io. Kepleri Harmonices mundi Liber III. De ortu proportionum harmonicarum, deque Natura et differentiis rerum ad Cantum pertinentium. Excursus de Tetracty pythagorico (Gesammelte Werke 6, p. 95-99).
[3] «Proclus Diadochus Lib. I Com. in I Elementorum Euclidis. Cum philosophia multas sit complexa facultates, multas et Mathematica; de una quidem huius parte Harmonice dicta, deque Numeris (Harmoniarum principiis creditis) hac scribit: “Ad Theologiam praeparat Mentis conatus. Nam ea quae non initiatis circa veritatem rerum divinarum videntur esse captu difficilia et sublimiora, illa Mathematicis Rationibus demonstrantur esse fida manifesta et sine controversia, per quasdam Imagines. Nam Proprietatum superessentialium evidentiam ostendunt in Numeris; et quae sint Intellectualium Formarum Potestates, in Ratiocinativis clarum efficiunt. Itaque Plato multa mirabilia de Natura Deorum nos per species rerum Mathematicarum edocet: et Pythagorica Philosophia his ceu velis obnubit institutionem de rebus divinis. Huius enim generis est universus ille Sermo Sacer, et Philolaus in Bacchis, et tota Pythagorae ratio docendi de Deo”. » (Ivi, frontespizio; ed. cit., p. 91); per il testo di Proclo tratto dal Prologo del Commento al primo libro degli Elementi di Euclide cfr. la trad. di M. Timpanaro Cardini: «Essa [la scienza matematica] prepara la comprensione intellettuale alla teologia. Infatti, tutte le cose che alle menti imperfette appaiono difficili a comprendersi e inaccessibili per la conoscenza della verità intorno agli dèi, i ragionamenti matematici le mostrano degne di fede e evidenti e inconfutabili mediante le immagini. Essi danno le dimostrazioni delle proprietà supersostanziali insite nei numeri, e nelle figure pensabili rivelano le potenze delle figure intellettuali. Perciò Platone c’insegna molte mirabili dottrine riguardo agli dèi mediante figure matematiche, e la filosofia dei Pitagorici sotto questi velarii nasconde l’iniziazione ai dogmi divini. Tale infatti è tutto il Sacro Discorso, e Filolao nelle Baccanti e tutto il modo dell’insegnamento di Pitagora intorno agli dèi.» (Prologo, Parte I, Cap. vii, p. 22 Friedlein; trad. cit., p. 41).
[4] Per il rinvio alle Baccanti di Filolao cfr. Stobeo, Eclogarum physicarum et ethicarum libri duo, I 15, 7 (44 b 17 DK; il frammento successivo è il testo procliano qui tradotto da Keplero); per l’attribuzione del Discorso Sacro a Pitagora cfr. Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, viii 6 (14 B 19 DK).
[5] «Hermetis Trismegisti de Numeris philosophia» come viene precisato in margine al testo (ed. cit., p. 98).
[6] «Di Ermete Trismegisto al figlio Tat, Discorso segreto sulla montagna: relativo alla rigenerazione e sulla regola del silenzio», p. 377-404 nell’ed. del CH curata da I. Ramelli.
[7] «La decade, infatti, figliolo, è generatrice dell’anima. E la vita e la luce sono unite, e qui è nato il numero dell’unità, dello Spirito. Così dunque, secondo logica, l’unità contiene la decade, e la decade l’unità» (CH xiii 12; ed. cit., p. 385).
[8] Cfr. CH i 23 (ed. cit., p. 87).
[9] Cfr. CH i 25 (ed. cit., ibidem).
[10] Cfr. In Platonis Timaeum Commentaria I 316, 16sgg. Diehl (cit. in CH ed. Ramelli, p. 400 nota 56).
[11] «Camerarius plures ait fuisse Tetractyas, non illam solum, quae a quaternarii basi surgit ad summam 10, sed etiam aliam praecipuam, quae ab Ogdoadis basi ad verticem usque colligit summam 36.» (HM III; ed. cit, p. 98).
[12] «Questa è la buona fine di quanti hanno acquisito la conoscenza, la gnosi: divenire Dio.» (CH i 26; ed. cit., p. 87).
[13] «Filium vero Pater ad Pimandrum remittit, de Octonario canentem; in quo sane occurrit Octonarius habituum Animae Ethicorum, septem quidem respondentium planetis septem, ut apparet, initio a Luna facto; octavi vero divinioris et quietioris, ad sphaerae puto fixarum ideam.»( HM III; ed. cit., p. 98).
[14] Cf. per la dottrina del silenzio ricordata all’interno del trattato:«Sul resto io tacerò, figliolo, e serberò un religioso silenzio»(xiii 8); «Perciò questo inno non può essere insegnato, bensì viene nascosto nel silenzio» (xiii 16); «Avendo appreso questo da me, promettimi il silenzio riguardo a questo potere miracoloso» (xiii 22).
[15] Cf. CH xiii 9 («Io invoco ancora la verità; e l’inganno fugge, e si presenta la verità») e 18(«Inneggia, o verità, alla verità»).
[16] «Accedit enim et hoc, quod Hermes Theologiam quandam tradit cultumque divini numinis, saepe Mosis, saepe Evangelistae Ioannis in suo sensu paraphrastes, praertim de Regeneratione, caeremoniasque discipulo certas inculcat, cum idem de Pythagoraeis affirment authores, partem eorum Theologiae variisque caeremoniis et superstitionibus deditam fuisse; et Proclus Pythagoricus Theologiam in numerorum contemplatione collocet» (HM III; ed. cit., p. 99).
[17] «Videas etiam, ipsum <Robert Fludd> plurimum delectari rerum aenigmatibus tenebrosis, cum ego res ipsas obscuritate involutas in lucem intellectus proferre nitar. Illud quidem familiare est Chymicis, Hermeticis, Paracelsistis; hoc proprium habent Mathematici.» (HM V, Appendix ad librum V harmonicorum; ed. cit., p. 374).
[18] «Et quid multis? Geometria ante rerum ortum Menti divinae coeterna, Deus ipse (quid enim in Deo, quod non sit ipse Deus) exempla Deo creandi mundi suppeditavit, et cum imagine Dei transivit in hominem: non demum per oculos introrsum est recepta.» (HM IV i ; ed. cit., p. 223).
[19] «Eadem pene Proclus paulo post locum prius adductum: “Essentiis mathematicis assimilari veritatem circa deos”, et Opificem totius universi usum archetypis mathematicis, sibi coaeternis, in conformatione mundi» (ibid.; la cit. di Proclo dal Commento a Euclide a p. 20 Friedlein, trad. Timpanaro p. 39).
[20] «[…] ultimo vero subiungeremus Musicam humanam, ostendentes quomodo Mens humana, iudicium auditus informans, instinctu naturali Creatorem imitetur, delectu et approbatione proportionum in vocibus earundem, quae Deo placuerunt in attemperatione motuum coelestium.» (HM III; ed. cit., p. 93).
[21] Cf. in particolare CH v e xi.