IL CORSO DELLA STORIA COME GRADUALE “EMANCIPAZIONE” DELLA RAGIONE DAL “GREMBO MATERNO” DELLA NATURA. L’ALTERNATIVA KANTIANA A HERDER

Mario Longo[1]

RIASSUNTO: L’immagine del “grembo materno della natura” da cui la ragione umana si deve emancipare per guadagnare la libertà è  usata da Kant  in uno scritto polemico contro Herder, Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte (1786), che può essere considerato una risposta al libro decimo delle Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, uscito nel 1785. Seguendo il racconto biblico, anche Kant pone la prima coppia umana in un “giardino”, un luogo sicuro e ben fornito di alimenti; ma il vero inizio della storia è fatto consistere nella rottura di questo equilibrio ad opera della ragione che gradualmente si è sottratta alla tutela della natura, imparando un po’ alla volta a dominarla. Kant dichiara di condividere l’ideale rousseauiano di una cultura che non neghi la natura dell’uomo ma la promuova in quella che dovrà diventare la sua condizione fondamentale di esistenza, che è la libertà. Pone tuttavia questo ideale come termine finale del processo storico, non come condizione da recuperare nella sua purezza iniziale, ritornando alle origini, come invece appariva nella visione della storia proposta da Herder, che avrebbe su questo punto frainteso il pensiero di Rousseau.

PAROLE CHIAVE: Storia della filosofia. Filosofia della storia. Progresso. Interpretazione biblica. L’inizio della storia. Dialettica natura-cultura.

L’immagine del “grembo materno della natura” (der Mutterschosse der Natur) da cui la ragione umana si deve “emancipare” (entlassen) per guadagnare tutta intera la propria libertà è  usata da Kant in un breve scritto polemico contro Herder, Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte uscito nel 1786 (KANT, 1968, p. 107-124; KANT, 1995, p. 103-117), che può essere considerato una risposta al libro decimo delle Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, edito nel 1785 (HERDER, 1989, p. 380423) e che Kant recensisce nello stesso anno (Kant, 1968, p. 43-66).

La polemica è condotta da Kant sul terreno del commento alla Bibbia, un terreno a lui forse non molto familiare ma che era invece certamente congeniale a Herder il quale non solo non vedeva alcuna opposizione tra ragione e fede per l’interpretazione della storia umana, ma accoglieva il testo sacro come documento storico attendibile e del tutto affidabile.  In tal senso egli si era pronunciato sia in Aelteste Urkunde des Menschengeschlechts (177476) sia nel suo scritto più noto di filosofia della storia, Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit  (1774).

L’interesse di Kant per argomenti di questo tipo, che possiamo ricondurre all’ambito della filosofia della storia o anche, se vogliamo usare un linguaggio più attuale, all’ambito della filosofia della cultura, è particolarmente accentuato in questi anni (dopo il 1783) durante i quali sta procedendo al completamento del sistema. Egli sembra seguire un preciso programma di ricerca che era stato in qualche modo annunciato  nel capitolo “Die Architektonik der reinen Vernunft” nella parte finale della Kritik der reinen Vernunft. In questo contesto Kant, dopo aver sostenuto che non si apprende la filosofia bensì, semmai, s’impara a filosofare, aveva teorizzato un duplice modo di far filosofia, sulla base di due diversi concetti, un primo concetto che egli chiama “scolastico” (Schulbegriff), che mira semplicemente alla perfezione logica della conoscenza, e un concetto “cosmico” (Weltbegriff) che collega la ricerca filosofica ai fini essenziali della ragione umana allo scopo di realizzarli nella storia (KrV, B 866-867). E’ una forma di filosofia impegnata o militante, diremmo noi, una filosofia per il mondo si diceva allora, che si batte per promuovere il progresso dell’umanità e che aveva trovato anche il suo organo di diffusione, la rivista Der Philosoph für die Welt, diretta da Johann Jakob Engel,  sulla quale Kant aveva pubblicato nel 1778 il suo primo saggio sulle razze. Non è un caso che Kant affidi queste ricerche a riviste  di ampia diffusione, come il saggio di cui ci stiamo occupando, apparso in una famosa rivista berlinese diretta da Friedrich Nicolai, la Berlinische Monatsscrift (TORTAROLO, 1989, p. 115-120, 255-256), sulla quale due anni prima (al termine del 1784) Kant aveva pubblicato in rapida successione i due saggi certamente più noti e discussi del suo impegno di “filosofo per il mondo”: Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht (1784) e Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (1784).

Questo è il contesto generale, ma il contesto più specifico e immediato entro il quale si colloca l’articolo Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte è senza dubbio la volontà da parte di Kant di continuare e portare a termine la sua polemica contro la filosofia della storia di ispirazione herderiana. Questa aveva trovato alla fine, dopo tanti saggi polemici e interventi occasionali, un’esposizione sistematica (anche se rimarrà incompiuta) nelle Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit che Kant aveva letteralmente stroncato con ben due recensioni (e una replica a Reinhold) uscite  sulla rivista “Allgemeine Literaturzeitung”, da poco tempo fondata da Christian Gottfried Schültz e destinata a diventare negli anni seguenti l’organo quasi ufficiale di diffusione della filosofia critica. Egli accusa apertamente Herder (che, lo ricordo, aveva seguito i suoi corsi di filosofia a Königsberg) di essere inadeguato rispetto al compito che si era proposto con la sua opera, quello di delineare “una filosofia della storia dell’umanità”, non essendo affatto un filosofo; infatti, con il suo “spirito poetico” (der poetische Geist) avrebbe confuso e mescolato filosofia e poesia, producendo qualcosa di completamente antifilosofico (KANT, 1968, p. 60). Non solo sarebbero stati confusi i confini di filosofia e poesia, ma proprio a causa dell’impostazione naturalistica e addirittura “spinozistica”, come sembra suggerire maliziosamente Kant, sarebbe stato confuso l’ambito teologico con l’ambito filosofico e la filosofia non sarebbe più la serva premurosa che apre la porta alla teologia (e alle altre scienze fondamentali come la giurisprudenza e la medicina) ma semplicemente la serva che tiene nelle sue mani lo strascico della padrona[2]. Teniamo presente questa metafora per capire la differenza che Kant vuole subito mettere in evidenza tra il suo modo di impostare e delineare la filosofia della storia e la posizione di Herder.

Privilegiando il racconto del libro della Genesi rispetto ai testi delle altre tradizioni orientali, Herder aveva voluto dimostrare la sostanziale corrispondenza del testo sacro con il quadro storico che il filosofo può ricostruire, ricorrendo ai suoi strumenti di analisi che sono la ragione e l’esperienza, naturalmente avendo l’accortezza di  ripulire il racconto biblico dai suoi abbellimenti orientali; queste pagine contengono, in effetti, “[...] la tradizione e l’antica filosofia della storia umana” (HERDER, 1989, p. 402403), e inoltre esse trovano un riscontro oggettivo nelle più accreditate e recenti ricerche della scienza naturale nel campo della fisiologia e della biologia (HERDER, 1989, p. 430). Il genere umano ebbe un’origine abbastanza recente, come termine finale del processo della creazione essendo “[...] l’ultimo prodotto della terra ormai compiuta” (als die letzte Ausgeburt der vollendeten Erde). La sua prima dimora è stata un giardino (il Paradiso terreste), il luogo più adatto per coltivare le forze vive della natura e nel quale meglio l’uomo poteva esplicare l’innata tendenza alla socialità. Quello che è venuto dopo, la ribellione e il peccato, il lusso e i vizi, è dovuto all’attività degli uomini, la quale ha prodotto “una degenerazione” (Entartung) rispetto all’armoniosa perfezione di una vita che si svolgeva inizialmente tutta intera secondo le disposizioni della natura:

Tutte le forme di inselvatichimento delle stirpi umane sono degenerazioni, a cui sono state costrette dalla necessità, dal clima e da un’abitudine causata dalle passioni: dove questa costrizione (Zwang) scompare, l’uomo vive dappertutto sulla terra in modo più raffinato, come mostra la storia delle nazioni. Soltanto il sangue degli animali ha reso l’uomo selvaggio, e così la caccia, la guerra e purtroppo anche molte esigenze della società civile (und leider auch manche Bedrängnisse der bürgerlichen Gesellschaft). (HERDER, 1989, p. 414-415; HERDER, 1992, p. 199).

Il messaggio è molto chiaro ed è offerto in termini scopertamente rousseauiani: l’uomo deve tornare alla stato iniziale della sua storia che lo sviluppo della civiltà ha poi compromesso introducendo, attraverso l’arte e la cultura, il peccato e il disordine.

Un quadro idilliaco, basato su ipotesi gratuite, che Kant critica e rifiuta, dichiarando di non volersi impegnare in un racconto romanzato ma di voler proporre delle congetture (Mutmassungen) sugli inizi della storia umana in qualche modo verificabili attraverso l’esperienza, in quanto sia possibile ricondurle ad aspetti essenziali della natura dell’uomo. Le battute iniziali affrontano una questione di metodo e sono rivolte a rovesciare l’impostazione seguita da Herder nella sua ricostruzione della storia che voleva essere “filosofica”, ma che risulta a Kant per niente filosofica, anzi semmai antifilosofica. Bisogna distinguere nella storia i suoi tre momenti costitutivi: l’inizio (der Anfang), il corso stesso della storia, il suo sviluppo (der Fortgang) e il momento in cui essa si chiude (die Schluss). Inserire congetture nel racconto degli eventi storici è legittimo e spesso necessario per compensare le lacune nei documenti storici, ma bisogna sempre partire e tener conto di questi e mai far sorgere (entstehen) una storia interamente da congetture; questo tipo di operazione non merita il nome di una storia ipotetica (einer mutmasslichen Geschichte) bensì di una pura e semplice invenzione (einer blossen Erdichtung), equivale a tracciare il progetto di un romanzo (den Entwurf zu einem Roman zu machen). Il discorso di Kant non è astratto o generico; il tono e le espressioni usate indicano un obiettivo polemico immediato che non può che essere Herder, di cui egli aveva recensito pochi mesi prima l’opera, esprimendo, come si è visto, esattamente questo tipo di giudizio.

Questo per quanto riguarda il corso della storia. Per l’inizio  della storia e per la sua conclusione, invece, è non solo legittimo ma necessario ricorrere ad ipotesi e a congetture proprio per l’assenza completa in questo caso di documenti; tuttavia, prosegue Kant, ancora in tono polemico, le congetture richiedono l’esercizio di un’immaginazione in qualche modo orientata, che stia in compagnia della ragione (in Begleitung der Vernunft). Seppur espresse in tal modo, le congetture sugli inizi della storia non possono in ogni caso rivendicare il titolo di storia documentata: “[...] esse non possono neanche misurarsi con quella storia che è stabilita e creduta come vero resoconto (als wirkliche Nachricht) del medesimo evento, e la cui prova riposa su tutt’altri fondamenti da quelli della semplice filosofia della natura (Naturphilosophie)” (KANT, 1968, p. 109; KANT, 1995, p. 103)[3]. In queste ultime righe Herder è nuovamente attaccato e su due punti; anzitutto per aver spacciato il suo racconto sulle origini come vera storia, in secondo luogo per aver collocato la sua filosofia della storia in continuità e come sviluppo della filosofia della natura.

Sin qui la pars destruens. Kant rende poi esplicito il suo modo di procedere in questo tipo di ricerca, dichiarandola nient’altro che un viaggio di piacere (eine blosse Lustreise), compiuto con l’aiuto di una mappa che sarà fornita dal testo biblico.  Il discorso kantiano è, anche qui, particolarmente denso e di non facile lettura:

Proprio perciò, e dato che qui intraprendo un puro viaggio di piacere, posso ben chiedere licenza che mi sia concesso di servirmi a tal fine, come mappa (als Karte), di un documento sacro, e di figurarmi al tempo stesso che l’itinerario che io compio sulle ali dell’immaginazione, sebbene non senza un filo conduttore legato all’esperienza per mezzo della ragione (nicht ohne einen durch Vernunft an Erfahrung geknüpften Leitfaden), non ritrovi proprio quella medesima linea che quel documento contiene. (KANT, 1968, p. 109-110; KANT, 1995, p. 103-104). 

Il brano potrebbe essere oggetto di un lungo e articolato commento. Ci limitiamo a poche  ed essenziali osservazioni. Anzitutto va sottolineato il legame tra immaginazione e testo sacro, il quale pertanto non è un documento sul quale si possa costruire una vera storia come era stato frainteso da Herder; esso fornisce un racconto certamente piacevole alla lettura, ma che può diventare interessante ed utile anche per un filosofo purché sia letto e interpretato secondo una linea direttiva che sappia agganciare l’immaginazione all’esperienza attraverso la ragione. Il senso da attribuire a questa linea direttiva è ben spiegato nella parte introduttiva del primo saggio kantiano di filosofia della storia, Idee zu einer allgemeinen Geschichte: è lo scopo che la natura ha assegnato all’uomo e che noi possiamo ritrovare nell’idea stessa di umanità. Questa contiene in sé l’indicazione di un compito assegnato all’uomo dalla natura che l’ha dotato di una serie di potenzialità nell’insieme finalizzate all’uso della ragione. Chi è in possesso di questo filo conduttore è in grado di determinare nelle sue linee generali l’inizio, il corso e il termine della storia umana (KANT, 1968, p. 17; KANT, 1995, p. 29-30).

Il filosofo della storia va alla ricerca di questo filo conduttore il cui possesso lo rende capace di determinare l’inizio e la conclusione della storia umana, mentre il suo corso (il suo concreto sviluppo) è affidato al lavoro accuratamente documentato degli storiografi[4]. Nei confronti della storiografia la filosofia svolge lo stesso ruolo propedeutico-introduttivo, ancillare, se così si può dire, che essa ha nei confronti della teologia, il ruolo della serva premurosa e attiva, la quale precede, come s’è detto, la padrona e le apre la porta. Con questo atteggiamento Kant si appresta a consultare la Bibbia, che gli offre la mappa di un percorso che egli, come filosofo, ha già preventivamente individuato nelle sue linee generali. Ben diverso è l’atteggiamento ermeneutico di Herder il quale nella sua lettura e comprensione della storia procede sempre dalla Bibbia, che definisce il più antico documento (Urkunde) per la storia dell’umanità, sulla base del principio che non solo esista armonia ma persino identità di ispirazione tra filosofia e teologia. In sostanza possiamo affermare che la filosofia della storia di Herder si costruisca a partire dall’esegesi e dal commento dell’Antico Testamento, interpretato sempre alla lettera secondo il metodo ermeneutico raccomandato da Lutero e che lo stesso Herder nel saggio Von Geist der Ebräischen Poesie (1782) definisce dell’ascoltare senza interferire, un ascoltare in religioso silenzio quelle voci antiche, colte nella loro immediatezza, senza preoccuparci subito di interpretare e discutere le loro intenzioni, quasi a voler insegnare loro qualcosa: “Dobbiamo lasciare i profeti sulla loro cattedra e noi, quaggiù, seduti ai loro piedi, ascoltare (hören) ciò che essi dicono e non dire ciò che essi dovrebbero ascoltare” (HERDER, 1993, p. 667).

Per comprendere un testo, di qualsiasi genere, è necessario saper interpellarlo, porre le domande giuste e adeguate: questo è l’atteggiamento ermeneutico raccomandato, invece, da Kant, che non è quello herderiano dell’ascoltare (hören), ma semmai dell’interrogare (fragen), e che è riassunto, in un famoso passo della Kritik der reinen Vernunft riguardante la nozione platonica di idea, attraverso la formula della possibilità di comprendere un autore persino meglio di quanto egli si sia compreso (ihn sogar besser zu vertehen, als er sich selbst verstand) (KrV, A 314, B 370). Pertanto, è lecito al filosofo chiarire e comprendere più a fondo, utilizzando i suoi strumenti, il testo sacro, ma con una precauzione che Kant qui sottolinea: bisogna essere consapevoli che non tutto nella Bibbia, e in maniera specifica nel libro della Genesi, può essere oggetto di spiegazione, come invece riteneva Herder, equivocando sui legami della filosofia con la teologia e con la religione. Per tale ragione Kant passa completamente sotto silenzio il primo capitolo della Genesi, quello che tratta della creazione del mondo e dell’uomo, che era stato a lungo ed enfaticamente trattato da Herder, in quanto dichiara espressamente che l’esistenza dell’uomo è un fatto indeducibile per la ragione e inspiegabile dal punto di vista filosofico. Il commento di Kant procede, dunque, dal secondo capitolo, che descrive il paradiso terrestre, per passare poi al peccato di Adamo ed Eva; dopo un’interruzione dovuta all’inserimento di una Anmerkung (che riguarda la “giusta” interpretazione di Rousseau), il racconto riprende con l’episodio di Caino e Abele, si allarga alla storia degli antichi Patriarchi e si chiude col sesto capitolo del libro della Genesi che narra di Noé, della sua arca e del diluvio universale.

Anche Kant pone la prima coppia umana in un “giardino”, un luogo sicuro e ben fornito di alimenti; ma il vero inizio della storia è fatto consistere nella rottura di questo equilibrio naturale ad opera della ragione che gradualmente si è sottratta alla tutela della natura, si è voluta “emancipare”, appunto, dal “grembo materno” della natura, imparando un po’ alla volta a dominarla e a sfruttarla. La società umana non si costituisce, pertanto, sin dall’inizio della comparsa del primo essere umano, ma alla fine di un lungo e faticoso processo di incivilimento, nel momento in cui gradualmente si afferma e s’impone il principio del diritto che, dichiarando l’uguaglianza tra gli uomini in quanto esseri forniti di ragione, sottrae gli individui allo stato di isolamento e di conflitto nel quale la natura li aveva inizialmente posti. In questo processo di graduale indipendenza dell’uomo dalla natura si possono individuare quattro stadi i quali indicano forme di controllo via via più diffuso dell’uomo sugli istinti: 1) la scelta del cibo; 2) la disciplina della sessualità; 3) l’attesa del futuro; 4) l’uso sistematico delle cose come strumenti per la sua vita. Per questa via, attraverso la progressiva emancipazione dalla natura resa possibile dall’uso della ragione, l’uomo entra a costituire con gli altri uomini un altro tipo di esistenza, riconoscendosi parte di un mondo dei fini dove ciascuno può rivendicare per sé lo stesso valore degli altri e pretendere da tutti rispetto:

E così l’uomo era entrato in una eguaglianza con tutti gli esseri ragionevoli (in eine Gleichheit mit allen vernünftigen Wesen), qualunque fosse il loro rango: e cioè riguardo all’esigenza di essere fine a se stesso (selbst Zweck zu sein), di essere riconosciuto da ogni altro come tale e di non essere utilizzato da nessuno semplicemente come mezzo per altri fini. […] Questo passo è perciò legato alla sua emancipazione dal grembo della natura (mit Entlassung desselben aus dem Mutterschoße der Natur): un cambiamento certo onorevole, ma anche molto pericoloso, giacché lo ha tratto fuori dallo stato innocente e sicuro della custodia infantile, in un certo senso da un giardino che lo nutriva senza che egli faticasse e lo spinse fuori nel vasto mondo, dove lo aspettavano tante preoccupazioni, fatiche e mali ignoti. (KANT, 1968, p. 114; KANT, 1995, p. 108).

L’opposizione di ragione e natura sulla quale Kant insiste nel definire gli inizi della storia lo induce ad interrompere il racconto al fine di chiarire i suoi rapporti con Rousseau, un autore assunto da lui quasi a modello fin dal periodo precritico[5] e verso il quale è particolarmente sensibile in questi anni in cui il suo interesse si focalizza sui temi della filosofia pratica, etica e politica (JAUMANN, 1995; VERKLEY, 1995, p. 181-195). D’altronde, probabilmente, l’opera del pensatore ginevrino era presente a Kant, per lo meno sullo sfondo, sin dalla battute iniziali del saggio, dove la polemica investiva, come abbiamo documentato, direttamente ed espressamente un ben preciso testo di Herder[6]. D’altra parte, quest’ultimo era noto in tutta Europa, e in Germania in particolare, per essere un sostenitore delle tesi rousseauiane, con grande efficacia  contrapposte, in Auch eine Philosophie der Geschichte (1773), a quelle dei rappresentanti più in voga dell’illuminismo europeo, quali Voltaire, Iselin e Robertson. L’Anmerkung si apre richiamando il concetto-chiave della filosofia della storia che Kant aveva illustrato seguendo il racconto biblico:

Da questa rappresentazione degli inizi della storia umana risulta che l’uscita dell’uomo dal paradiso, rappresentato dalla ragione come il luogo del primo soggiorno del genere a cui apparteneva, non è stata altro che il passaggio dalla selvatichezza di una creatura semplicemente animale all’umanità, dal girello per bambini dell’istinto alla guida della ragione (aus dem Gängelwagen des Istinkts zur Leitung der Vernunft); in una parola: dalla tutela della natura allo stato di libertà (in den Stand der Freiheit). (KANT, 1968, p. 115; KANT, 1995, p. 109)[7].

Kant si chiede se questa emancipazione dell’uomo dalla natura sia stata un bene o un male, e risponde tenendo presente, ma adattandola al proprio contesto, la distinzione di cui parla Rousseau in esordio al suo Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes (1763), tra una ineguaglianza definita “naturale o fisica” perché stabilita dalla natura ed una ineguaglianza “morale o politica” invece legata alla vita in società (ROUSSEAU, 2002, p. 97). Kant riferisce questa distinzione a due condizioni della vita umana, una prima che concerne l’esistenza dell’individuo in sé, e l’altra che lo fa partecipe della specie umana, la quale garantisce la sopravvivenza della comunità umana nel tempo oltre la vita dei singoli individui. Secondo Kant, il passaggio dallo stato selvaggio alla vita sociale rappresenta un indubbio progresso per l’uomo che si rende in tal modo cosciente della sua essenza razionale e si rende indipendente rispetto alla natura, ma è un progresso che riguarda l’uomo come appartenente al genere e non i singoli individui, i quali hanno molto da soffrire a causa di questa emancipazione. Per gli individui l’abbandono della stato di natura e il passaggio alla vita civile non sono né piacevoli né desiderabili; s’impongono tuttavia come un dovere, un imperativo categorico di cui prendono gradualmente coscienza. Questa consapevolezza è il presupposto di una visione della storia di tipo progressivo, descritta da Kant come passaggio dal male al bene e non come regressione dal bene verso il male, come si poteva ricavare, a suo giudizio, dalla lettura delle pagine herderiane. Male e bene sono qui usati espressamente in un senso etico-giuridico, come risulta dalle tappe in cui è scandito il primo inizio costitutivo della storia umana: il superamento e il controllo degli istinti naturali (nutrizione, sessualità), la dimensione del futuro assicurato da una organizzazione stabile della famiglia e della società e, infine, la considerazione degli uomini come parte di un regno dei fini,  diverso dal regno della natura.

La soluzione prospettata consente, secondo Kant, di risolvere l’apparente contraddizione che emerge nell’opera di Rousseau:

In questo modo possono essere messe in accordo, tra loro e con la ragione, le tanto spesso fraintese affermazioni, apparentemente contraddittorie, del famoso J.-J. Rousseau. Nei suoi scritti Sull’influsso delle scienze e Sulla diseguaglianza tra gli uomini egli mostra a perfezione l’inevitabile conflitto (den unvermeidlichen Widerstreit) della cultura con la natura del genere umano, come genere fisico (als einer physischen Gattung), nel quale ogni individuo dovrebbe raggiungere pienamente la sua destinazione; ma nel suo Emilio, nel suo Contratto sociale e in altri scritti egli cerca di risolvere il più difficile problema di come debba progredire la cultura perché le disposizioni dell’umanità come genere morale (als einer sittlichen Gattung) si sviluppino conformemente alla loro destinazione, in modo che il genere morale non si opponga al genere fisico in quanto genere naturale. (KANT, 1968, p. 116; KANT, 1995, p. 109-110).

Insomma, l’antitesi tra natura e cultura sulla quale giustamente insisteva il pensatore ginevrino è un fatto innegabile, dovuta però al loro sviluppo asimmetrico nel corso del tempo, come Kant cerca di mostrare con degli esempi in una lunga nota a piè di pagina[8]. Soltanto alla fine del processo, che però è da intendere come ideale regolativo piuttosto che come termine cronologico, quando la ragione riuscirà a dominare pienamente, attraverso la cultura, le forze naturali dell’uomo, l’umanità si manifesterà come genere morale non più in antitesi ma in sintonia con il genere fisico. Kant condivide l’ideale rousseauiano (che è, in fondo, non diverso da quello herderiano) di una cultura che non neghi la natura dell’uomo ma la promuova e la esalti in quella che dovrà diventare la sua condizione fondamentale di esistenza, che è la libertà, ponendo tuttavia questo ideale come termine finale del processo storico, non come condizione da recuperare nella sua purezza iniziale, ritornando alle origini. Questa era stata la soluzione proposta da Herder che, secondo Kant, aveva frainteso il pensiero di Rousseau, finendo col rappresentare la storia come movimento in senso contrario, un ritornare indietro nel tempo e non un procedere in avanti, un riandare verso il passato anziché procedere verso il futuro. Questo è il senso della Anmerkung kantiana: tener separate e ben distinte le posizioni di Rousseau da quelle di Herder, al fine di mostrare una certa propria vicinanza con il primo e, contestualmente, il totale rifiuto del secondo.

Con il richiamo a Rousseau, reinterpretato correttamente e non in maniera equivoca, Kant potrebbe aver chiuso il suo confronto critico con Herder a proposito degli “inizi” della storia umana. In realtà il commento kantiano al libro della Genesi prosegue poi dal quarto al sesto capitolo. D’altronde, nel libro decimo delle Ideen herderiane che, come abbiamo detto, costituisce il termine di raffronto della riflessione kantiana, erano stati descritti i primi sviluppi della civiltà umana arrivando sino al diluvio universale. Fino a questo punto del racconto, secondo Herder, il testo sacro è da assumere come documento, il più antico e autentico documento della storia umana, mentre quello che viene narrato nei capitoli seguenti, la divisione dei popoli, i loro nomi e le loro storie particolari non ha più quell’interesse e quel valore universale che spetta al racconto delle origini della storia dell’uomo. Indotto dalla lettura di Herder, Kant aggiunge una specie di appendice dal titolo Conclusione della storia (Beschluß der Geschichte) che, in realtà, non tratta la conclusione o il termine finale della storia umana nel suo insieme, bensì soltanto la fine del suo primo periodo. Anche qui, come per l’inizio della storia, sono individuate quattro fasi di sviluppo le quali indicano una progressiva complessità nella vita e nell’organizzazione della società, a partire dalla convivenza pacifica tra le famiglie nell’epoca in cui la principale fonte di nutrimento è la caccia sino alla scoperta della pastorizia e poi dell’agricoltura, al loro dialettico rapportarsi, e infine il formarsi della civiltà cittadina, con i suoi agi e le sue ricchezze ma anche con i suoi vizi e i suoi conflitti.

Sarebbero molti gli spunti interessanti da sottolineare, come ad esempio la difesa, che può apparire provocatoria e un po’ eterodossa, di Caino, bravo e pacifico agricoltore, costretto a difendersi dalle incursioni del pastore Abele, oppure la funzione positiva attribuita alla guerra e al conflitto tra gli uomini che, se non altro, costituiscono un antidoto contro il dispotismo. Più interessante, dal nostro punto di vista, è la Nota conclusiva (Schluss-Anmerkung), dove Kant affronta un tema molto generale, essenziale per qualsiasi costruzione filosofica della storia, vale a dire se la storia abbia un senso, se vi sia in essa o sopra di essa qualcosa capace di orientarla nella direzione di una finalità conforme a ragione. Herder, a questo proposito, aveva invocato ed esaltato il progetto della Provvidenza che rende il corso della storia “buono” nonostante la “cattiva” volontà degli uomini. Qualcosa del genere è ammesso anche da Kant sia pure indicato per lo più con il termine di Natura, la quale appunto persegue una sua finalità che va oltre le intenzionalità individuali. Questo aveva sostenuto Kant, come abbiamo visto, nella premessa dell’Idee zu einer allgemeinen Geschichte. Ora egli ribadisce questa direzione in un certo senso progressiva e positiva della storia rispondendo a tre obiezioni che sogliono essere mosse al filosofo della storia. Anzitutto nella storia è assolutamente prevalente il male; in effetti, essa è percorsa continuamente da guerre e conflitti che producono morte e distruzione; ma, risponde Kant, questi mali impediscono mali ancora peggiori, come appunto il dispotismo, e inoltre stimolano la riflessione degli uomini alla ricerca di soluzioni che possano eliminarli o, almeno, ridurne gli effetti. La seconda obiezione riguarda la brevità della vita umana, condizione assolutamente augurabile, secondo il punto di vista di Kant, se non si vuol assistere a quella diffusione dei vizi che ha interessato la storia degli antichi Patriarchi a causa della loro lunghissima vita. L’allusione (un po’ ironica, per la verità) al testo sacro e al racconto del diluvio universale è qui evidente. Infine l’obiezione di coloro, e di Herder tra questi, che all’inizio gli uomini stessero meglio ed avessero vissuto un’età dell’oro che poi hanno perso irrimediabilmente e che noi oggi possiamo solamente evocare con nostalgia. Questo non è riflettere con ragione, risponde Kant, ma è un sognare e un fantasticare che è proprio non dei filosofi ma dei poeti e degli scrittori di romanzi alla Robinson Crusoe, ai quali va avvicinata senz’altro l’opera di Herder.

Ed ecco, allora, la  conclusione di Kant il quale delinea la sua filosofia della storia in alternativa e in opposizione a quella di Herder, di cui sono volutamente citati termini e parole-chiave:

E allora il risultato della storia più antica degli uomini, tentata per mezzo della filosofia, è questo: soddisfazione nei confronti della provvidenza e dell’andamento delle cose umane nel loro insieme (im Ganzen), andamento che non comincia dal bene per proseguire nel male, ma che si sviluppa gradualmente dal peggio al meglio (vom Schlechtern zum Besseren); e a tale progresso (zu welchem Fortschritte) ognuno è allora chiamato dalla stessa natura (durch die Natur selbst berufen ist) a contribuire per la sua parte, secondo le sue forze. (KANT, 1968, p. 123; KANT, 1995, p. 116).

Il concetto-chiave che Kant vuol far valere contro Herder è quello di progresso a supporto di una visione della storia di tipo positivo e ottimistico perché egli è convinto che essa proceda (fort-geht), sia pure problematicamente e con ritmi irregolari, verso il meglio, assicurando un miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità che è sì voluto e garantito dalla natura, al quale tuttavia ogni singolo uomo è chiamato responsabilmente a dare il suo contributo.

ABSTRACT: The image of the “womb of nature”, from which human reason must emancipate itself in order to gain freedom, is used by Kant in a pamphlet against Herder. This was the Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte (1786), which can be considered a response to the tenth book of Herder’s Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, published in 1785. Following the biblical account, Kant imagines the first two human beings in a “garden”, a place safe and well-stocked with food; but the real beginning of history consists in the disruption of this balance produced by reason. Human reason gradually removes itself from the protection of nature, learning gradually to dominate nature. Kant shares Rousseau’s idea of a culture that does not deny the nature of man, but promotes it in order to attain the fundamental condition of human existence, which is freedom. However, this ideal remains only as the final term of historical process, not as a condition to be regained in its original purity. The latter was the vision of history proposed by Herder, who on this point misunderstood the thought of Rousseau.

KEYWORDS: History of philosophy. Philosophy of history. Progress. Biblical exegeses. Nature/ Culture dialectics.

BIBLIOGRAfIA

HERDER, Johann Gottfried. Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit. Erter und Zweiter Teil (1784-1785). In: BOLLACHER, Martin (Hrsg.). Werke in zehn Bänden. Frankfurt am Main: Deutscher Klassicher Verlag, 1989. v. 6, p. 380-423.

______. Idee per la filosofia della storia dell’umanità. Traduzione italiana parziale a cura di Valerio Verra. Bari-Roma: Laterza, 1992.

______. Vom Geist der Ebräischen Poesie. Eine Anleitung für die Liebhaber derselben und der ältesten Geschichte des menschlichen Geistes. Erter Teil (1782). In: BOLLACHER,

Martin (Hrsg.). Werke in zehn Bänden.  Frankfurt am Main: Deutscher klassicher, 1993. v. 5.

JAUMANN, Herbert (Ed.). Rousseau in Deutschland. Berlin-New York: De Gruyter, 1995.

KANT, Immanuel. Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte. In: ______. Kants Werke. Berlin: De Gruyter, 1968a. v. 8, p. 107-124.

______. Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürlicher Absicht. In: ______. Kants Werke. Berlin, New York: De Gruyter, 1968b. v. 8, p. 15-32.

______. Recensionen von I. G. Herders Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit. Teil 1.2. in: ______. Kants Werke. Berlin: De Gruyter, 1968c. v. 8, p. 43-66. ______.  Bemerkungen zu den Beobachtungen über das Gefühles des Schönen und Erhabenen, in Kants handschriftlichen Nachlass. In: ______. Kants Werke. Berlin: De Gruyter, 1942. v. 7.

______. Scritti di storia, politica e diritto. A cura di Filippo Gonnelli. Roma-Bari: Laterza, 1995.

ROUSSEAU, Jean-Jacques. Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini. A cura di Valentino Gerratana. Roma: Riuniti, 2002.

SELBACH, Ralf. Eine bisher unbeobachte Quelle des “Streit der Fakultäten”. KantStudien, n. 82, p. 96-101, 1991.

TORTAROLO, Edoardo. La ragione nella Sprea: coscienza storica e cultura politica nell’illuminismo berlinese. Bologna: Il Mulino, 1989.

VELKLEY, Richard. Freedom, teleology, and justification of reason: on the philosophical importance of Kant’s Rousseauian Turn. In: JAUMANN, Herbert (Ed.). Rousseau in Deutschland. Berlin: De Gruyter, 1995.  p. 181-195.

ZEDELMAIER, Helmult. Der Anfang der Geschichte: Studien zur Ursprungsdebatte in 18. Jahrhundert. Hamburg: F. Meiner, 2003.9

Recebido em: 09/09/2014

Aceito em:  02/10/2014



[1] Professore ordinario di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Verona (Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia). E’ autore di numerosi ed estesi  saggi  contenuti nell’opera Storia delle storie generali della filosofia, uscita in 5 volumi dal 1979 al 2004, ora disponibile in traduzione inglese, presso l’editore Springer, col titolo Models of the History of Philosophy. Già Direttore del Dipartimento di Filosofia e Preside della Facoltà di Scienze della formazione, attualmente è componente del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Verona. mario.longo@univr.it

[2] La metafora è usata da Kant nel saggio Zum ewigen Frieden (1795), per spiegare il rapporti della filosofia con le scienze “superiori”, quali la giurisprudenza, la medicina e, appunto, la teologia. Il tema, affrontato da Kant anche in Der Streit der Fakultäten, riguarda il rapporto tra le facoltà universitarie sulla base dell’organizzazione del sistema vigente in Germania nel sei-settecento che attribuiva alla facoltà filosofica una funzione strumentale: “La facoltà filosofica sta, sotto questo potere congiunto, ad un grado assai basso. Così, ad esempio, si dice della filosofia che essa sarebbe l’ancella della teologia (e lo stesso vale per le altre due). Ma non si riesce a capire “[...] se con la fiaccola preceda la sua graziosa signora o se le tenga lo strascico”“ (KANT, 1968, p. 369; Kant, 1995, p. 187). Non è chiaro donde Kant ricavi questa citazione, ma è probabile che espressioni del genere circolassero negli ambienti wolffiani per aggiornare e reinterpretare la famosa formula scolastica della filosofia ancilla theologiae (SELBACH, 1991, p. 96-101).

[3] Si confronti questa regola enunciata da Kant con il giudizio più volte ribadito da Herder riguardo al valore di documento storico da attribuire ai primi capitoli del libro della Genesi: “Wodurch zeichnet es sich vor allen Märchen und Traditionen der höheren Asiaten so einzig aus? Durch Zusammenhang, Einfalt und Wahrheit” (HERDER, 1989, p. 411).

[4] Questa distinzione tra filosofia della storia e storiografia che, come abbiamo visto, è accennata in avvio del saggio sugli inizi della storia era stata enunciata al termine della Idee zu einer allgemeinen Geschichte, a commento della nona ed ultima tesi: “Che con questa idea di una storia universale, la quale in certo modo ha un filo conduttore a priori (einen Leitfaden a priori), io voglia respingere l’elaborazione della vera e propria storia (Historie) redatta solo empiricamente, sarebbe un’errata interpretazione del mio intento; è solo un pensiero su ciò che una mente filosofica (ein philosophischer Kopf) (che dovrebbe comunque essere molto esperta di storia) potrebbe tentare da un altro punto di vista” (KANT, 1968, p. 30; KANT, 1995, p. 42-43).

[5] Cf. una nota manoscritta legata alla composizione delle Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen (1764): “Ich bin selbst aus Neigung ein Forscher. Ich fühle den gantzen Durst nach Erkentnis u. die begierige Unruhe darin weiter zu kommen oder auch die Zufriedenheit bey jedem Erwerb. Es war eine Zeit da ich glaubte dieses allein könnte die Ehre der Menschheit machen u. ich verachtete den Pöbel der von nichts weis. Rousseau hat mich zurecht gebracht. Dieser verblendende Vorzug verschwindet, ich lerne die Menschen ehren u. ich würde mich unnützer finden wie den gemeinen Arbeiter wenn ich nicht glaubete daß diese Betrachtung allen übrigen einen Werth ertheilen könne, die rechte der Menschheit herzustellen” (KANT, 1942, p. 44).

[6] Cf. quanto sostiene Helmut Zedelmaier che legge l’intero saggio kantiano tutto in riferimento ai testi rousseauiani (ZEDELMAIER, 2003, p. 283-294); a nostro parere, il confronto con Herder, che Zedelmaier passa quasi sotto silenzio, rappresenta l’ispirazione principale del saggio di Kant.

[7] Il termine “girello per bambini” (Gängelwagen) era stato usato anche in Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (1784) per indicare lo stato di minorità in cui si trova la stragrande parte degli uomini, fra cui l’intero universo femminile (KANT, 1968, p. 35).

[8] Ci limitiamo ad accennare al primo dei tre esempi riportati da Kant, anche perché fa riferimento ad un fenomeno a noi ben noto. Il raggiungimento della maturità, che in una società semplice e primitiva avveniva contemporaneamente (o quasi) per l’aspetto fisiologico e naturale (capacità riproduttiva) e per l’aspetto morale e politico (autosufficienza economica e responsabilità), è sempre più differito nel tempo in proporzione al complicarsi della vita sociale. Si produce, a causa di questa asimmetria nello sviluppo, un contrasto tra la natura che non reprime affatto le tendenze istintuali e la società che intende disciplinarle e rinviarne la soddisfazione nel tempo. La soluzione di questo contrasto, che produce molti vizi e “[...] la multiforme miseria umana”, è cercata da Kant in “una costituzione civile (il fine supremo della cultura) (eine volkommene bürgerliche Verfassung <das äußerste Ziel der Kultur>)” (KANT, 1968, p. 117; KANT, 1995, p. 110).